“LA MONTAGNA: DONO E COMPITO”. Intervento al convegno nazionale UCID a Tolmezzo

05-06-2010


LA MONTAGNA: DONO E COMPITO


 


 


Le mie riflessioni nascono da un interrogativo di partenza:  Che cosa significa vivere in un territorio e in una diocesi che si distende anche sulla montagna e in una montagna con queste caratteristiche?


Dopo i primi contatti con le comunità che vivono in Carnia, in Canal del Ferro e in Val Canali, mi viene spontanea una risposta: questa montagna è un dono ed un compito; un dono da accogliere con riconoscenza e da valorizzare; quindi. è in compito consegnato alla nostra responsabilità.


Da meno di otto mesi ho iniziato il mio ministero di Arcivescovo di Udine, dove sono giunto accogliendo, in obbedienza, la richiesta del Santo Padre.


Ad un pastore è chiesto, prima di tutto, di conoscere il suo gregge. Per questo ho iniziato una prima visita a tutta l’Arcidiocesi, forania per forania, parrocchia per parrocchia, chiesa per chiesa.


Nel programma ho privilegiato le montagna per dare subito un segnale di attenzione alle comunità cristiane che mi erano state indicate più in sofferenza proprio per l’evoluzione che stanno avendo le località montane.


Da questa prima visita, sto già ricavando delle impressioni che desidero brevemente comunicare. Esse vanno accolte  con l’attendibilità di prime considerazioni che offro con semplicità, come contributo ad una riflessione comune.


Percorrendo, paese dopo paese, l’area montana del Friuli sento di affermare che essa è un dono per questa Regione. Come sappiano, copre un’area molto vasta del territorio regionale anche se con una percentuale modesta di popolazione, che tende  progressivamente a diminuire.


E’ un dono la natura di queste montagne con le loro valli, altipiani e scorci suggestivi, con il senso di essenzialità, di silenzio, di armonia che trasmettono.


E’ un dono la tradizione cristiana che si è distesa su queste montagne in un modo che mi ha realmente sorpreso. Qui il cristianesimo, da Aquileia, si è diffuso fin dai primissimi secoli come testimonia la Pieve di Zuglio e l’antichissima chiesa di S. Martino, in val Degano, con il suo battistero del IV secolo recentemente riscoperto.


Il cristianesimo ha segnato queste montagne con le Pievi che svettano su alti costoni e si richiamano l’una con l’altra. Dalle Pievi sono sorte le decine e decine di chiese, spesso antiche e di qualità artistica, sparse in tutto il territorio.


Attorno alle chiesa di sono formate le comunità cristiane e i paesi. Ha preso senso e fisonomia la distribuzione della popolazione in montagna.


Si sono formate le tradizioni, i valori, le feste, i costumi e le diverse identità e culture delle diverse zone e vallate.


Dicendo queste cose non penso di fare poesia nostalgica di un tempo passato ma riconoscere un dono reale che la natura e le generazioni che ci hanno preceduto ci consegnano.


Il dono, però, è fragile e sta diventando sempre più fragile. Per tanti motivi la popolazione abbandona i paesi in quota e scivola a valle, spesso verso i quartieri periferici della città.


Molti non vorrebbero andarsene e ne è conferma il fatto che si tengono la casa in montagna per tornarci ogni volta che possono e tornano nei paesi natali per celebrare i funerali ed essere sepolti nei vicini cimiteri. Però, la carenza di lavoro e di servizi sembra non lasciare alternativa.


Questo esodo porta come conseguenza inevitabile l’indebolimento delle tradizioni cristiane e culturali custodite nei paesi di montagna, la qualità delle relazioni vissute in essi, la lingua e i costumi.


Vien da chiedersi se lo spopolamento della montagna in Friuli sia un processo irreversibile. Questo è un interrogativo che è nel cuore di molti. Me lo ripete con amarezza la gente che abita ancora la montagna; se lo pongono i sindaci e le amministrazioni locali; lo hanno presenti i politici. E’ un interrogativo che ho davanti anch’io come Vescovo e Pastore di queste parrocchie assieme ai sacerdoti, ai laici dei Consigli pastorali parrocchiali e foraniali.


A volte, più che un interrogativo sembra ormai una rassegnata constatazione. Tutti vorrebbero che la montagna non fosse abbandonata ma un’analisi razionale e disincantata sembra portare ad un conclusione opposta.


Di fronte a questa constatazione mi permetto di rilanciare l’interrogativo: è proprio vero che il destino della montagna friulana è quello di essere praticamente disabitata, almeno da comunità locali stabili? Se essa è un dono sia per le bellezze naturali che per la ricchezza di tradizioni, dobbiamo proprio rinunciare a questo dono?


Mi sto rendendo conto che le eventuali soluzioni positive non possono essere che impegnative per tutti; ma non sono convinto che siano impossibili.


Forse questo è un grande compito che abbiamo davanti per non perdere il dono della montagna con tutto ciò che essa significa.


Certamente, per vedere delle prospettive di sviluppo per i territori e le popolazioni della nostra montagna ci viene chiesta una riflessione di alta qualità.


Non basta fermarci su analisi generali di carattere economico o di razionalizzazione dei servizi o di peso politico e sociale che può avere il numero di abitanti della montagna.


E’ chiaro che la montagna non può essere considerata con i criteri  dei territori collinari e di pianura che sono più abitati e più facilitati in tante cose.


Sono necessari dei criteri particolari nel pensare al futuro delle comunità della montagna. Possiamo, però, convincerci che questa la strada giusta se ci rendiamo conto che la salvaguardia della montagna e delle sue tradizioni non è un vantaggio solo per le popolazioni che vi abitano per tutta la Regione e la Diocesi.


Come possiamo pensare un buon vivere sociale nella nostra Regione se sarà abbandonato il 57% del suo territorio? Come possiamo immaginare di creare un tessuto di relazioni cristianamente e socialmente buone tra una popolazione che scivola sempre più giù dai suoi paesi per gonfiare in modo anonimo le zone periferiche della città? Che cosa comporterà la perdita delle tradizioni cristiane e umane che hanno caratterizzato le comunità della montagna? Non andiamo verso una popolazione friulana ancora più sradicata dalle proprie radici e quindi più disorientata? Anche in termini economici, siamo sicuri che a lungo andare il trend attuale sia il più conveniente?


Pongono con umiltà e quasi sottovoce queste domande sia perché sono appena arrivate, sia perché mi rendo conto che contengono una sfida molto difficile. Non è mia intenzione giudicare l’operato di nessuno perché le difficoltà cono oggettive, al di là delle  buone intenzioni e della buona volontà.


Però, mi arrischio di dire: proviamo a pensare ancora, a pensare assieme, a pensare più in grande, se ci riusciamo.


Forse siamo nella condizione di cercare di attuare l’idea di sviluppo che Benedetto XVI tratteggia nell’enciclica Caritas in veritate. Egli ci ricorda che un vero sviluppo dell’umanità non deve mirare a ‘progredire solo da un punto di vista economico e tecnologico’ (n. 23). Deve essere uno sviluppo integrale che ha l’obiettivo della ‘promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo’ (n.18). E il Papa ammonisce a tener conto che ‘i costi umani sono sempre anche costi economici’ (n. 32); ci invita ad un doveroso senso di giustizia verso le future generazioni alle quali ‘consegnare la terra in uno stato tale che anch’esse possano degnamente abitarla e ulteriormente coltivarla’ (n. 50).


Sono prospettive di grande respiro che ultimamente sono guidate da ‘un amore ricco di intelligenza e da un’intelligenza piena di amore’ (n. 31).


La nostra Regione potrebbe essere stimolante banco di prova per pensare e attuare uno sviluppo autentico e di grande respiro ispirandosi alla Dottrina sociale della Chiesa e ponendosi davanti al dono e al compito che costituisce per noi la montagna.


Posso assicurare che la Chiesa è pronta a restare in prima fila e parte attiva di una collaborazione che coinvolga tutti. Già continua ad essere presente capillarmente nel territorio grazie alla generosità pastorale dei sacerdoti e alla collaborazione di tanti laici che amano la Chiesa e la loro terra. Ho visitato decine di chiese e le ho trovate tutte ben tenute grazie alla passione dei parroci e delle persone che erano sempre lì ad accogliermi a qualunque ora arrivassi. Vogliamo tenerle aperte più che possiamo tutte perché sono spesso l’unico punto di riferimento rimasto per la gente e danno voce alla montagna, voce di preghiera verso Dio e voce di solidarietà tra la gente che vive attorno alla propria chiesa.


Ci sono altre iniziative che la Diocesi ha avviato e ha in animo di avviare. Penso verranno esposte tra poco dal rappresentante dell’Assemblea dei cristiani per la montagna.


Concludo assicurando ancora una volta l’impegno mio e della Diocesi a sostenere i cristiani e le comunità montane cristiane piccole e grandi e la disponibilità a collaborare per valorizzare il dono che la natura e le passate generazioni ci offrono proprio sulle nostre montagne.