Intervento all’incontro dei referenti pastorali – Udine, 22 febbraio 2014

22-02-2014

Meditazione dell’Arcivescovo sulla Speranza Cristiana

(1 Pietro 3,13-20)
 
 
1. Essere contagiosi testimoni della speranza
 
Dedichiamo la prima parte del nostro incontro alla preghiera e alla meditazione della Parola di Dio sulla virtù della speranza. Potrebbe sembrare una scelta poco “operativa” in vista il servizio che stiamo offrendo alla diocesi, alle foranie e alle parrocchie. Verificare come stanno andando avanti i programmi, come funziona l’organizzazione e trovare modi per migliorarla, potrebbe apparire più utile alla vita della nostra Arcidiocesi. Se guardiamo alla Chiesa con criteri solo umani questo è perfettamente giusto. Aggiungo che è necessario programmare e verificare perché la Chiesa ha anche una struttura sociale e, come ogni famiglia e comunità, chiede pure un’organizzazione il più possibile intelligente.
 
Nel suo essere profondo, però, essa è il Corpo di Cristo animato dallo Spirito Santo, il quale è presente nel cuore dei battezzati che sono membra dell’unica Chiesa. Essa è viva se le sue membra sono vive. La Chiesa di Udine, prima dell’organizzazione, ha bisogno di membra sante, di cristiani ricchi di Spirito Santo, che hanno nel cuore una grande fede, speranza e carità.
 
Abbiamo deciso di vivere tre anni dedicati alle virtù teologali per permettere allo Spirito Santo che le renda più forti in noi. Anche in questo importante incontro preghiamo e meditiamo la Parola di Dio perché cresca in ognuno di noi la virtù della speranza. Il più prezioso servizio che possiamo offrire alla nostra Chiesa, alle nostre parrocchie, alle persone che ci stanno vicino è testimoniare la speranza. Scrivo nella lettera pastorale Cristo, nostra speranza: “I cristiani sono sempre stati contagiosi per la loro speranza. La loro serenità forte e profonda attira i non credenti verso la Chiesa che è e deve essere la casa della speranza” (n. 36).
 
 
2. Il “vangelo” della speranza
 
Diffondiamo speranza, però, se arde nel nostro cuore. Per questo non dobbiamo stancarci di chiederla nella preghiera e aprirci all’ascolto della Parola di Dio perché è il Vangelo di Gesù che semina in noi la sua speranza.
Per ritornare, allora, questa sera alle nostre famiglie e comunità più contagiosi nella speranza, ascoltiamo e meditiamo le parole dell’apostolo Pietro. Esse sono una delle più profonde catechesi sulla speranza cristiana; un vero “vangelo” della speranza Per aiutare la nostra meditazione sottolineo i passi che l’apostolo indica per vivere questa virtù.
 
La speranza è il segno distintivo dei cristiani nel mondo: “Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi”. Essi trasmettono una serenità che sale dal profondo del cuore e illumina il loro volto e la loro persona; per questo sono contagiosi. Sono i veri evangelizzatori che Papa Francesco invoca nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia” (n. 1).
In sintonia con il Papa anch’io scrivo: “In Friuli tutti si accorgeranno che
stiamo vivendo un Anno della speranza se la diocesi, le parrocchie, le famiglie e tanti cristiani mostreranno segni luminosi e coraggiosi di speranza” (n. 36).
Possiamo chiederci: le persone vedono in noi i segni della speranza? Qualcuna se ne accorge e ce lo fa presente?
 
La speranza dei cristiani si rivela specialmente nei momenti della prova: “Se poi doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non sgomentatevi per paura di loro e non turbatevi”.
L’apostolo parla della sofferenza provocata dagli altri, come erano le ingiuste persecuzioni psicologiche e fisiche che i primi cristiani cominciavano a subire. Proprio nella prova essi manifestavano una serenità e una forza interiore che li sosteneva senza cedere nella loro fede in Gesù. E restavano fedeli e coerenti alla loro fede senza toni aggressivi verso coloro che senza motivo li oltraggiavano; ma con dolcezza e rispetto. Questi erano i segni della speranza che avevano nel cuore, grazie alla quale non venivano meno né alla loro fede in Gesù, né alla carità verso i nemici.
Specialmente per i laici cristiani non mancano, neppure nei nostri ambienti di antica tradizione cristiana, prove simili. Vivere con coerenza la propria fede comporta anche forme di persecuzione, di emarginazione, di disoneste calunnie.
Forse abbiamo vissuto qualche volta anche noi queste forme di sofferenza. Se siamo stati coerenti, nonostante la prova, quale forza e serenità ci ha sostenuto? Abbiamo fatto esperienza della speranza?
 
La speranza cristiana deve essere continuamente nutrita da un rapporto profondo con Gesù: “Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori”. Il rapporto di fede e di amore con il Signore Gesù è nascosto nei cuori e si manifesta nella speranza con cui il cristiano affronta le prove della vita. L’apostolo invita a vivere questo rapporto usando il verbo “adorare” che indica un rapporto intimo, continuo, di preghiera. Il battezzato vive come tutti dentro le attività e i rapporti e, contemporaneamente, è sempre in adorazione del suo Signore nel cuore. Così viveva Gesù che era sempre in adorazione del Padre.
In sintesi, poi, S. Pietro ricorda perché Gesù è l’unica speranza per il battezzato. Nelle sue parole troviamo il vero “vangelo della speranza”: Gesù è morto una volta per sempre per i peccati, unico giusto morto per gli ingiusti; è entrato nel regno dei morti per andare a liberare dalla morte coloro che essa teneva prigionieri; è risorto e salito al cielo alla desta del Padre dove ha preparato un posto anche per coloro che sono stati battezzati nella fede in lui.
Non mi fermo a commentare le parole dell’apostolo perché a questo annuncio della speranza ho dedicato la seconda parte della lettera pastorale.
Possiamo chiederci: facciamo esperienza di adorare il Signore Gesù nei nostri cuori? L’annuncio di Pietro è per noi il fondamento della nostra speranza?