IL CONTRIBUTO DELL’IMPRESA PER L’UMANESIMO INTEGRALE. Intervento al convegno dell’Ucid

15-02-2010


IL CONTRIBUTO DELL’IMPRESA PER L’UMANESIMO INTEGRALE


 


 


LA LUCE DELLA RIVELAZIONE PER UN DISCERNIMENTO IN TEMPO DI CRISI


 


Non è  facile proporre una riflessione sul ruolo sociale dell’impresa in questo momento di travaglio economico che tutto il mondo sta attraversando. E’ evidente il rischio di dire cose che suonano generiche o astratte agli orecchi di coloro che quotidianamente continuano ad affrontare la fatica e il rischio per mandare avanti la propria attività imprenditoriale nell’incertezza degli orizzonti.


Cosciente di questo, mi limito a qualche sottolineatura che non viene dal pensiero mio ma dall’enciclica ‘Caritas in veritate’ di Benedetto XVI di cui è stata universalmente riconosciuta l’autorevolezza, la profondità di pensiero e la robustezza del’impianto generale.


Certo, anche le riflessioni del Papa possono sembrare ideali di fronte alla durezza della realtà che un imprenditore o un manager si trova ad affrontare.


Ma per uscire bene da un periodo di crisi sono più che mai necessarie anche prospettive ideali illuminate, una bussola tarata bene per non perdersi.


Come ci insegna la Sacra Scrittura, i tempi di crisi sono momenti di prova seria dentro i quali si può anche soccombere; ma dai quali si può uscire rinnovati se non si è smarrita la direzione verso la salvezza.


Dio ci ha donato l’intelligenza per cercare la direzione giusta osservando la realtà, analizzando le situazioni, usando la scienza. Ma per interpretare a fondo la realtà in cui ci troviamo, con le sue imprevedibili incertezze, e intuire dove orientarci abbiamo bisogno di un’intelligenza illuminata da una luce superiore che porta a capire più a fondo, a fare una valutazione che risponda alla verità, a trarre degli orientamenti veramente ‘intelligenti’ con la convinzione necessaria per portarli avanti.


Ho descritto in poche parole il percorso di quello che la S. Scrittura e la Tradizione cristiana chiama ‘discernimento’ che signfica: riconoscere in che modo Dio sta agendo nella realtà in cui viviamo e offrire la nostra libera collaborazione.


La luce superiore, di cui ha bisogno la nostra intelligenza, ci è donata dalla Rivelazione cristiana che il Magistero della Chiesa ha quasi tradotto, per quanto riguarda le tematiche socio-politico-economiche nella Dottrina sociale della Chiesa.


Grande documento della Dottrina sociale della Chiesa è certamente l’enciclica ‘Caritas in veritate’ di cui ricordo qualche punto, convinto che sia molto utile ad un imprenditore e dirigente cristiano per un suo discernimento in questo tempo.


 


L’UMANESIMO INTEGRALE: IL BENE COMUNE A CUI E’ CHIAMATA A COLLABORARE ANCHE IL MONDO IMPRENDITORIALE


 


Il titolo che mi è stato dato suona così: ‘Il contributo dell’impresa per un Umanesimo integrale’. Mi soffermo subito su questo espressione particolarmente significativa.


L’espressione ‘umanesimo integrale’ richiama alla memoria  un celebre libro del filosofo personalista francese, J. Maritain.


In essa possiamo trovare sinteticamente espressa la sostanza del bene comune a cui sono chiamati a tendere tutti i soggetti, singoli e associati, che compongono una società.


‘Umanesimo integrale’ richiama la centralità della persona umana la cui realizzazione deve essere il fine ultimo non subordinato ad altro. Si fa riferimento, poi, ad una realizzazione ‘integrale che favorisca  tutte le espressioni della persona (fisica, intellettuale, professionale, affettiva, morale, familiare, relazionale, religiosa ..). e una buona armonia tra loro.


Tale realizzazione deve tener conto, infine, che la persona è per sua natura fatta per vivere dentro una rete di relazioni in cui concretizza la sua vocazione ad essere amata e ad amare, in armonia con le altre persone e la natura.


Per questo un umanesimo integrale ha una necessaria dimensione sociale. La società è strutturata e organizzata a vari livelli: politico, economico, educativo, del tempo libero. Tutti devono concorrere al bene integrale delle persone e di ogni persona che è membro della società.


Questi brevissimi cenni sono certamente insufficienti per una declinazione dell’espressione ‘umanesimo integrale’, ma possono farci intuire, almeno, quanto essa stia al cuore dell’enciclica ‘Caritas in veritate’. Il Papa promuove un autentico ‘umanesimo integrale’.


Le citazioni potrebbero essere molte a sostegno di questa affermazione. Ricordiamo, solo, che egli si pone sulla scia dell’enciclica ‘Popolorum progressio’ nella quale Paolo VI già invocava ‘uno sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini’  parlava di uno ‘sviluppo umano integrale’ (n.8).


Indica come via per uscire dall’attuale crisi ‘una nuova sintesi umanistica’ (n. 21). Invoca ‘una riprogettazione globale dello sviluppo’ che abbia orizzonti planetari e consideri al centro la persona umana in tutte le sue esigenze e dimensioni (n. 22). Afferma ancora: ‘Il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo, la persona nella sua integrità. L’uomo, infatti, è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale’ (n. 25).


A questo ‘umanesimo integrale’ possono e devono dare il loro contributo tutti i soggetti sociale, compreso il mondo imprenditoriale con i suoi attori e la sua organizzazione.


E’ certamente un obiettivo molto alto e impegnativo. Esso, però, da nobiltà al lavoro degli imprenditori e dirigenti. Essi, infatti, non si vedono appiattiti sulla mera ricerca del profitto; ma si sentono chiamati, secondo la loro propria professionalità, a contribuire alla crescita delle persone dentro una società più umana.


E’ un obiettivo che non può non motivare imprenditori e dirigenti cristiani, Certo, chiede loro di essere sostenuti da quella speranza cristiana che sa andare anche oltre i limiti delle speranza umane.


Anche l’imprenditore cristiano, come ogni altro battezzato, sa ‘sperare contro ogni speranza’ sull’esempio di Abramo, nostro padre nella fede (Rom 4,18).


 


LE TRE FORME DI GIUSTIZIA CHE PERMETTONO LO SVILUPPO DI UN UMANESIMO INTEGRALE


 


Per promuovere lo sviluppo fondato su un ‘umanesimo integrale’, Benedetto XVI pone come condizione il rispetto contemporaneo di tre forme di giustizia: commutativa, distributiva e sociale (n. 35).


Si sofferma su questa riflessione in modo particolare nel capitolo terzo in cui prende in considerazione anche il ruolo dell’impresa.


La giustizia commutativa regola il mercato sulla base del criterio del dare e avere, avendo come mira la realizzazione di un profitto. Il Papa mette in guardia da una visione negativa del mercato e della giusta ricerca del profitto (n. 36).


Invita, piuttosto, a non lasciare il mercato ad autoregolarsi, quasi avesse in sé i criteri per promuovere un autentico sviluppo.


Esso ha bisogno di essere guidato dalla giustizia distributiva che si preoccupi di una equa distribuzione delle risorse tra i membri della società. Tocca alla politica salvaguardare la giustizia distributiva. In un mondo globalizzato ‘ aggiunge Benedetto XVI ‘ l’azione della politica deve essere presente in tutti i momenti del processo economico e non solo alla fine, per distribuire la ricchezza prodotta.


I criteri della giustizia distributiva devono essere salvaguardati dal reperimento delle risorse, all’organizzazione dell’attività produttiva, ai modi di gestire la finanza, alla distribuzione della ricchezza (n. 37).


Per uno sviluppo che rispetti l’uomo, tutto l’uomo e ogni uomo non sono, però, sufficienti queste due forme di giustizia. Il Papa ne aggiunge una terza che chiama ‘giustizia sociale’, la quale promuove la logica del dono e della gratuità.


Mi ha colpito quanto egli insista sulla necessità del principio della gratuità dentro l’organizzazione produttiva della società contemporanea.


Si premura di chiarire che il dono gratuito non va considerato come un gesto di generosità volontaria che sta accanto alla logica mercantile. Soccorrere i poveri non è un’opera di misericordia opzionale che si aggiunge all’attività produttiva ma, piuttosto, è un elemento  strutturale di tale attività e necessario per la sua buona riuscita.


Ricordo alcune espressioni: ‘I poveri non sono da considerare un fardello bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico’ (n. 35). ‘Nei rapporti mercantili il principio della gratuità e la logica del dono, come espressione della fraternità, possono e devono trovare posto entro la normale attività economica ‘ (n. 36).


Per questo il Papa parla di una terza forma di giustizia perché la logica del dono e della gratuità sono necessarie per il buon sviluppo economico e la buona distribuzione della ricchezza a livello planetario.


Mi sembra molto stimolante per imprenditori e dirigenti cristiani questa insistenza del Santo Padre sul vedere nella logica del dono come il respiro necessario per uno sviluppo economico che non collassi su se stesso perche guidato da logiche di profitto troppo misere e con poca fantasia.


Anche l’impegno della politica nel promuovere la giustizia distributiva ha bisogno di prospettive di solidarietà e di compassione per i più poveri per un’equa distribuzione che assicuri serenità e pace sociale.


Comprendo che questi spunti andrebbero sviluppati molto di più. Oltre che il tempo, me lo impedisce anche l’inconpetenza.


Come mi ero proposto, mi sono limitato a ricordare alcuni punti dell’articolato pensiero della ‘Caritas in veritate’, che mi paiono fecondo e profetici.


Essi possono illuminare l’attività imprenditoriale portata avanti da cristiani che sanno stare sul mercato e, insieme, non rinunciare all’obiettivo di contribuire all’affermarsi di un umanesimo integrale.


Confrontarsi con le tre forme di giustizia ricordate da Benedetto XVI, aiuta le imprese a prendere coscienza dell’importanza non solo economica, ma etica, culturale, sociale e umana che esse possono avere.


E qui andrebbero considerati gli interessanti spunti che l’enciclica riserva direttamente all’impresa. Essi sono concretizzazioni delle prospettive di fondo su cui si muove il documento pontificio e che ho cercato di ricordare e commentare brevemente.


Mi sembrano terreno pratico di confronto tra imprenditori e dirigenti cristiani e conferiscono una grande dignità alla loro attività a cui si sono sentito chiamati anche per i talenti ricevuti da Dio.


 


CONCLUSIONE


 


Concludo ritornando alle riflessioni iniziali. Le prospettive offerte dalla Dottrina sociale della Chiesa e, in particolare, dall’enciclica ‘Caritas in veritate’ possono suonare ideali se non utopiche a confronto con l’andamento generale dell’economia, della finanza e del governo nazionale e internazionale.


Sono certamente ideali ma non disincarnate dalla realtà; anzi, hanno una grande aderenza alle problematiche, a volte drammatiche, con cui si sta misurando l’umanità in questo tempo della sua storia.


Ad un imprenditore, che le sceglie come bussola del suo agire, è chiesta intelligenza, coraggio; ma è chiesta anche la sapienza del cuore che illumina l’intelligenza. E’ chiesta ‘ permettete che lo dica ‘ santità nelle intenzioni e nelle azioni-


Il mondo dell’imprenditoria, dell’economia, della finanza ‘ come quello della politica ‘ può essere luogo di santificazione per un cristiano.


Per diventare santo, un imprenditore non deve abbandonare il mercato e l’azienda come fossero luoghi di inevitabili compromessi con il male e dedicarsi a qualche attività filantropica. Se uno è chiamato da Dio faccia anche questo.


Ma dobbiamo credere che ci possono essere imprenditori e dirigenti che si santificano dentro il mercato, contribuendo per la loro parte a promuovere nel mondo l’umanesimo integrale che Gesù ha predicato e piantato incarnandosi fino in fondo nella nostra contraddittoria condizione umana.


L’UCID è un luogo provvidenziale in cui continuare ad offrire riflessioni ed esperienze spirituali che sostengano i cristiani imprenditori nel loro impegno a vivere evangelicamente nel mondo secondo il Regno di Dio.