Catechesi in occasione del secondo dei «Quaresimali d’arte 2016»

22-02-2016

La misericordia di Dio, per entrare in noi, ha bisogno che apriamo una porta perché egli rispetta sempre la nostra libertà e non ci impone alcuna costrizione. La porta è il pentimento. Ci apriamo alla misericordia quando ci pentiamo sinceramente dei nostri modi sbagliati di pensare, di desiderare e di comportarci e ci avviamo verso una concreta conversione.

Così è avvenuto per gli abitanti della grande città di Ninive. Toccati nel cuore dalla predicazione di Giona, essi hanno riconosciuto che il loro modo di vivere li portava alla rovina personale e sociale. Si sono pentiti e hanno preso l’impegno di conversione anche con scelte concrete: vestendosi di sacco, implorando Dio con tutte le forze, abbandonando la  condotta caratterizzata dalla violenza.

San Paolo, nel testo della lettera ai Corinzi appena letto, parla della tristezza dell’animo e la indica come un segno interiore del pentimento: “Questa tristezza vi ha portato a pentirvi”.

Soffermo la nostra attenzione sul sentimento della tristezza d’animo di cui parla l’apostolo. Egli era intervenuto rivolgendo alla comunità di Corinto un duro richiamo perché  tollerava al suo interno una situazione grave di peccato di uno dei suoi membri. Non entro in merito a quale fosse questa situazione ma sottolineo il fatto che il richiamo di Paolo era stato efficace perché aveva ottenuto l’effetto di creare un sentimento di tristezza nel cuore dei cristiani e di quella comunità.

L’apostolo porta l’attenzione su questo sentimento introducendo un’importante chiarificazione: distingue la “tristezza secondo Dio” dalla “tristezza del mondo”. Fa capire che si tratta di una distinzione decisiva perché le due forme di tristezza portano effetti opposti nell’uomo. La tristezza secondo Dio produce il pentimento che porta alla salvezza mentre la tristezza del mondo produce la morte.

Quest’ultima nasce dalla constatazione di aver sbagliato. Ma tale presa di coscienza genera una scontentezza amara di sé stessi e una vergogna, che spinge a nascondere agli occhi degli altri lo sbaglio che si è fatto. In questa tristezza caddero Adamo ed Eva i quali dovettero riconosce di aver sbagliato gravemente e, travolti dalla vergogna di vedersi nudi, andarono a nascondersi nel buio invece che esporsi allo sguardo misericordioso di Dio che li cercava nel giardino. S. Paolo afferma che questa tristezza porta alla morte perché, se osserviamo bene, nasce dell’orgoglio ferito. Per Adamo ed Evo fu un secondo peccato di superbia. Il primo fu quello di sfidare Dio pretendendo di farsi padroni assoluti della propria vita. Fallito il tentativo e  trovandosi in tutta la propria miseria, si nascosero nel buio di una vita senza senso che portava  alla morte.

La tristezza secondo Dio è di natura essenzialmente diversa perché non nasce dall’orgoglio ferito ma dall’umiltà. Essa parte sempre dal riconoscere la propria miseria e i propri peccati. Però, il dolore e l’amarezza che ne deriva non spinge a chiudersi nella vergogna  ma a mettersi, con umiltà, davanti allo sguardo misericordioso di Gesù confessandogli il nostro pentimento e invocando il suo perdono. Questa  tristezza porta alla salvezza perché porta, come la pecora smarrita, tra le braccia del buon pastore e del Padre misericordioso.

Questa tristezza – che possiamo chiamare anche pentimento del cuore per i peccati commessi –  è veramente la porta che apre il nostro cuore ad accogliere la misericordia di Dio Padre e a far esperienza della gioia del perdono.

Cattedrale di Udine, 21 febbraio 2016